Sono qui. ~Frozen Sea~

Mise i piedi a terra, osservò la punta delle sue scarpe di cuoio, impolverate e consunte, scarpe comode. L’asfalto grigio chiaro era coperto da cristalli di ghiaccio, così piccini da sembrare pulviscolo, depositato dall’abbandono. L’auto alle sue spalle ripartì e lei attese che si allontanasse fino a cancellarne il rumore nell’aria, mentre si riempiva gli occhi della vista davanti a sé.
Con le mani in tasca respirò l’aria fredda, la schiena contratta dal gelo attraverso quel cappotto nero troppo sottile, espandendo la cassa toracica per quel calore che invece si allargava dallo stomaco, irradiando un’energia che era emozione pura.
Piú in basso c’era il mare gelato, le onde che lo muovevano appena erano tranquille ma il blu scuro quasi nero dell’acqua presagiva tempesta, come il cielo grigio e al contempo così chiaro da ferire gli occhi. Nessuna nuvola, nessun gabbiano, nessuna risposta immediata. Per sapere avrebbe dovuto muoversi.
Un ciuffo pallido di erba impolverata di brina era cresciuto sotto la staccionata, le scale che scendevano alla spiaggia erano assi appoggiate nel terreno, legni secchi e sbiancati dal sole, coperti dalla sabbia trasportata dal vento, che seguivano un sentiero curvo e irregolare tra i cespugli sofferenti. Scese osservando i piedi in movimento, senza osare guardare oltre, nel timore di non trovare nulla.
Il vento non era forte, solo qualche folata dispettosa, e non scemò quando raggiunse la rena. Nonostante l’umidità i passi sporcavano di sabbia sgranata il fondo dei suoi jeans chiari, non c’erano orme a indicare il passaggio di qualcuno e nemmeno un sentiero, come se il tempo avesse cancellato l’estate. Alzò la testa infine, incapace di non sapere.
La casa di legno era lì. Identica a sempre, sprangate, chiusa contro l’inverno che voleva entrare a danneggiarla, a renderla un relitto, a cancellarne la presenza.
Si fermò, presa dal timore di trovarla sprangata, abbandonata, e soprattutto vuota. Ondeggiò di paura, lasciandosi avviluppare dalla propria insicurezza, eppure il sogno era stato chiaro, tanto vivido da svegliarla nel cuore della notte. Non aveva il coraggio necessario, e ringraziò il cielo che nessuno potesse vedere la sua debolezza, mentre il cuore sbrigava i battiti e la gola si serrava. Non sarebbe mai fuggita ma aveva bisogno di un attimo per sé.
Guardò verso il mare, la sabbia era imbiancata, la neve era scesa e neppure il sale aveva saputo scioglierla, e si sentì tutt’uno con quel luogo irreale che le apparteneva. Fece qualche passo verso la roccia grande, quella del passaggio che in pochi conoscevano, e ricordò quel tempo in cui il sole era a pochi passi da lì.
Il mare non era ancora coperto di ghiaccio, non si era ancora formata quella lastra spessa e lattiginosa che si poteva percorrere fino ai relitti, ma sapeva che l’indomani, dopo la notte più fredda possibile, avrebbero camminato assieme come mille anni prima, quando le aveva chiesto di non abbandonarlo.
Era lì per questo in fondo, perché l’aveva chiamata, perché non poteva sempre ignorare la sua voce, trascurare la promessa era per lei perdere tutto.
Si volse verso la casa, non era altro che una scatola quadrata di legno, una cassa martellata attorno a un mondo solo. Piccola, senza vernice, senza decori, nessun vaso di fiori marciti, non una sedia o un segno ospitale, eppure era l’unico posto che era felice di sognare. Succedeva sporadicamente, ma quando accadeva sapeva di doverci tornare.
Si mosse, percorrendo quei dieci passi che la separavano da essa, e si accorse del filo di fumo che usciva dal camino. Sicura che fino al momento prima non ci fosse alcun segno di vita, affrettò il passo, forse era arrivato assieme a lei e non si erano visti, forse conosceva altre vie per raggiungere quel luogo, qualunque cosa stesse succedendo doveva sapere. Davanti alla porta chiusa, tentennò. Doveva bussare? Chiedere il permesso? Non si riconosceva. Era casa loro, si disse per fermare i pensieri, e non esistevano regole.
Spinse l’uscio, la porta si aprì verso l’interno. C’era luce, molta più luce di quanto si potesse pensare ma non se ne stupì. Era un chiarore caldo, che sapeva di fuoco e sole, che ti toglieva all’inverno.
Si levò la sciarpa appoggiando allo schienale della sedia, poi il cappotto e il berretto di lana nero, passandosi la mano tra i capelli in una ricerca di inutile frivolezze. Rimase in piedi ad attendere, sperando che la riconoscesse, temendo di non piacergli più, di deludere le sue aspettative, rispetto a quelli che erano stati.
Invece si voltò ed era il lui di oggi, sofferente proprio come aveva immaginato, stanco come se una battaglia ben più grave di una malattia lo avesse investito. Lei si mosse, pronta a dargli giustificazioni che non le avrebbe chiesto, a spiegargli perché non era stata capace di raggiungerlo prima, ma le fece segno di tacere.
Allungò il braccio, invitandola a prendergli la mano, mentre la guardava con un sorriso a contrastare la tristezza negli occhi: «Stanotte il mare ghiaccerà, domattina cammineremo fin dove sarà possibile e ci diremo tutto. Adesso importa soltanto che tutti e due siamo qui.»